L’ambiguità dei sensi

L’ambiguità dei sensi

 

La considerazione che abbiamo dell’altro si posa sul polpastrello del dito medio tenendo le altre dita ben serrate a pugno. Ma così facendo, credendo di tenerlo in disprezzo (secondo il linguaggio dei luoghi comuni, avendogli chiaramente dichiarato di ficcarsi un dito nel culo), lo eleviamo invece alla vetta più alta di noi. La vetta più irraggiungibile per alcuni di noi e non per tutti. Naturalmente. Un privilegio riservato a pochi. Oppure, rovesciando le vedute, lo teniamo alla massima distanza come un importuno. Ma che stia vicino o lontano è pur sempre al centro della nostra attenzione di oggi. Anzi di questo momento. Dunque basta.

 

Se invece lo avessimo voluto far girare intorno ad una scelta (a sceglierci), allora lo avremmo sollecitato a guardare il dito indice roteante attorno a un centro immaginario. Scegli, diciamo senza voce, col gesto, come giocando a mosca cieca. Dopo di che, con lo stesso dito, ci si potrebbe negare oppure acconsentire a giudicarne la scelta. Se qualcuno dovesse scorgere dell’etica in quando sto dicendo non è poi così tanto lontano dalla verità. E dunque mi auguro di tradire i vostri propositi. Sono tante le cose che si possono dire con le dita senza dire niente, semplicemente con i gesti. E sottolineo le dita, non le mani. Le dita sono soltanto i versi di un poema cantato e mai scritto. Con le dita si pizzicavano le corde della lira. S’oscuravano i fori degli antichi flauti. S’inauguravano melodiose eclissi. Le mani potrebbero raccontare delle storie, alternando la mano alla bocca come il grido di guerra degli indiani. Se poi invece si riuscisse ad usare tutto il corpo chissà quali nefandezze di romanzi ne uscirebbero fuori.

 

Bisogna adesso annunciare il dito meno usato: l’anulare, quasi fosse un prigioniero, e/o disabile. Che ci facciamo infatti con questo dito? A stento potremmo mandare qualcuno a cagare. Non ci è quasi possibile infatti serrare le altre dita. Questo è il dito che più di tutti ha bisogno d’appoggio, ma allo stesso tempo ci sostiene in questo percorso elicoidale. Non è un caso che si sia iniziato a descrivere le dita partendo dalla vetta del medio scendendo poi per l’indice e passando adesso per l’anulare. Un lettore attento potrebbe notare che sarebbe stato conveniente discendere prima per l’anulare e poi per l’indice, essendo, l’anulare, il mediano tra la cima e il passo sottostante. Ma a questo lettore vorrei domandare, non è forse della natura umana essere un tantino precipitosi? tanta era la voglia di giungere alle conclusioni che si è preferito percorrere un sentiero da capra piuttosto che l’ingegnosa cadenza stradale, così come delle gambe, un passo per volta, un piede dopo l’altro, oscillando come un pendolo fino alla valle del faticoso riposo. Etica poesia e scienza hanno fino adesso uno stesso guardare equino. Fermi sul ½m³ (mezzo-metro-cubo) di questo podio.

 

Ma passiamo al mignolo. Sembra questo il dito più raffinato e parsimonioso. Amante delle dicotomie. Tutto vuole tagliare e le relazioni prima di tutto e i ponti (sotto cui, detto tra parentesi, dorme la morte), ma tranne la gola che è di competenza dell’indice con cui affina biforcuti rapporti paralleli. Se dovessi attribuire un senso dei cinque che abbiamo a questo dito non avrei dubbi a conferirgli quello del gusto.

 

Ma che dire del pollice? La vera conquista di questo nostro precipitoso cammino. Questo grosso dito che per nostra fortuna prese anche lui le distanze da tutto e da tutti. Infatti se non si fosse allontanato dalle altre dita non ci sarebbe stato possibile afferrare le cose. Non credete? Questo allontanamento fu guidato da diverse necessità. Una delle quali potrebbe essere stata la conquista di una terza dimensione di cui le immagini ne erano prive. Se la distanza aiuta a focalizzare le immagini, pensate un po’ cosa riuscirebbe a fare l’assenza. Il pollice è la nostra immagine riflessa nello specchio. E dunque, o vediamo solo lei, e chiunque ci sta intorno scompare, o scorgiamo solo una “n” di paesaggio e tutto quello che sta in mezzo lo escludiamo. Chiudendo un occhio per vedere meglio. Non lo sapevo neanch’io prima di giungere fin quaggiù facendo l’autostop. A un metro e mezzo da un cerchietto rosso circondato dal bianco di una paletta della polizia appostata a un lato della strada per sbarrarci la corsa. Proprio in questo momento hanno punto il bersaglio con un ago e se ne può vedere uscire una lenticchia di sangue che scorre copioso. Perché è così che il patto si stipula senza testimoni e tra sconosciuti. Vuoi tu prendere in sorte la qui presente conclusione della storia? Lo voglio, disse in piena incoscienza. Ho il pollice etilico io. Non ho i documenti. Non ho età. Non ho nome. Non potrete mai arrestarmi. Io non sono qui. Ma un attimo dopo schiacciavano il pollice su un foglio di carta, lo sottoscrivevano alla perdita dei sensi.   

 

Continuate pure voi a scrivere. Se non su questa linea, almeno tra gli spazi. Io ho solo voluto darvi una mano.

2 risposte a "L’ambiguità dei sensi"

  1. poetella ha detto:

    beh,
    userò tutte le dita. Conterò fino a dieci, una volta, un’altra volta. E forse un’altra.
    magari anche un’altra.

    poi continuerò io. Non so se su una linea o negli spazi.

    Forse…

    Grazie per la mano, comunque.

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